di Umberto Saccone
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (Matteo 10,16)[
1. Importanza e vulnerabilità del volontariato nel mondo
2. L’eccidio di Kouré
3. L’attentato in Guatemala
4. Il dovere di protezione nella normativa francese
4.1. Il dovere di protezione nella normativa italiana
5. Focus: breve analisi sul contesto di security di Kouré, Niger
6. Focus: breve analisi sul contesto di security di Chisec, Guatemala
7. Conclusioni
1. Importanza e vulnerabilità del volontariato nel mondo
Il volontariato rappresenta un ideale di profondo rinnovamento civile della società moderna poiché antepone ai valori di liberalismo “sfrenato” e spregiudicato l’importanza della partecipazione del singolo volontario alla riscoperta dei valori morali della solidarietà disinteressata, del lungimirante sostegno ai più deboli e della gratificazione derivante dall’aver contribuito, liberamente e a titolo gratuito, a obiettivi sociali e culturali in favore della collettività. L’importanza del volontariato nel panorama globale è confermata da un recente studio Oxfam secondo cui la comunità internazionale dovrà incrementare di almeno trecento miliardi di dollari all’anno i finanziamenti e le donazioni a Stati, organizzazioni non governative (ONG) e alle associazioni di volontariato locale per fronteggiare la crisi del coronavirus nei Paesi più poveri e prevenire una catastrofe umanitaria e le prevedibili conseguenze in termini di morti, sfollati, migranti e di instabilità politico – economica a livello regionale. Purtroppo, i volontari in missione all’estero rimangono sovente esposti a contesti locali caratterizzati dalla presenza di microcriminalità, violenza e terrorismo e possono inavvertitamente contribuire ad inasprire i conflitti sociali delle comunità più isolate e diffidenti che potrebbero percepire l’operato dei volontari come un’indebita ingerenza nella propria autodeterminazione ovvero come parte di una vera e propria “strategia di neocolonialismo straniero”. I recenti e sanguinosi omicidi, in Niger e Guatemala, ai danni di volontari di ONG di diritto francese, rappresentano una terribile testimonianza della minaccia a cui tale categoria è esposta e, al contempo, un’occasione per analizzarne le dinamiche e le contromisure adottate a protezione dei citati volontari in relazione al contesto locale e alla normativa applicabile.
2. L’eccidio di Kouré
La riserva naturale di Kouré è situata in Niger, nella regione di Tillabéri, a circa 60 km dalla capitale Niamey.Il 9 agosto 2020 sei cittadini francesi e due cittadini nigerini in visita presso la riserva, a bordo di un veicolo Toyota Land Cruiser hard-top, sono stati uccisi nel corso di un attacco da parte di un gruppo di uomini armati. Secondo le ricostruzioni della vicenda, la banda di aggressori avrebbe aperto il fuoco contro il veicolo per poi incendiarlo. La maggior parte delle vittime è stata uccisa da colpi di arma da fuoco, ad eccezione di una donna, inseguita e raggiunta a seguito di un tentativo di fuga, a cui è stata brutalmente tagliata la gola. Alla data attuale, nonostante l’arresto il 19 agosto di un sospettato presumibilmente coinvolto nei fatti, né l’identità del gruppo di aggressori è stata chiarita né sono giunte formali rivendicazioni, sebbene le fonti governative ipotizzano che l’attacco sia stato condotto da una cellula terroristica jihadista. Le prime notizie diffuse a seguito dell’attacco avevano identificato le sei vittime di nazionalità francese come semplici turisti in visita in Niger, malgrado sia successivamente emerso come tali vittime fossero in realtà cooperanti della Acted, Organizzazione Non Governativa (ONG) umanitaria di diritto francese. Al momento dell’attacco, la Acted risultava attiva in Niger nelle regioni di Tillabéri, Diffa e Maradi al fine di supportare le fasce più povere della popolazione locale. La conferma dell’evento è giunta dalla stessa Acted che ha dichiarato, tramite il proprio avvocato, Joseph Breham, il collegamento tra le vittime e la propria organizzazione. Resta da chiarire se l’attacco armato sia stato premeditato all’esito di un’attività di pedinamento e selezione del target ovvero se sia stato frutto di un’azione fortuita dettata dall’incontro casuale tra i cooperanti e il gruppo armato. Notizia certa è che il gruppo di cooperanti non fosse dislocato, a scopi lavorativi, nel luogo dell’attacco in quanto è stato accertato che costoro fossero diretti a Kouré per un’escursione presso la riserva naturale. Le successive dichiarazioni a mezzo stampa, rilasciate dall’avv. Breham e dai portavoce della Acted, in merito alle circostanze della vicenda e all’individuazione di eventuali responsabilità sono riassumibili sulla base di tre argomentazioni:
- Presenza di cause di forza maggiore di natura straordinaria e imprevedibile:
Secondo i portavoce di Acted la zona in cui si è verificato l’attacco armato è generalmente considerata come una zona “sicura”, situata a 45 minuti dalla capitale, frequentata da numerosi viaggiatori (inclusi ambasciatori e personale diplomatico) e ritenuta dal Ministero degli esteri francese ad un livello di rischio medio-basso (colore giallo, “vigilance renforcée”), laddove Acted generalmente opera, paradossalmente, in aree a rischio medio-alto. In effetti, la zona di Kouré è considerata come una sorta di estensione di Niamey, trattandosi di una riserva naturale prossima alla capitale. Per converso, il Foreign Office britannico considera la medesima area a rischio medio (arancione).
Per questi motivi i portavoce di Acted hanno dichiarato di aver ritenuto l’attacco armato totalmente inaspettato e imprevedibile, tenendo presente che non si erano mai verificati a Kouré eventi analoghi a danno di occidentali e le stesse autorità di Niamey consideravano la zona a basso rischio, come dimostrato dal fatto che la riserva di Kouré risultasse sorvegliata unicamente da agenti forestali, senza presenza alcuna di militari addetti al pattugliamento dell’area.
- Adozione da parte di Acted di procedure e misure di security adeguate al contesto locale.
Per Acted, a detta dei propri portavoce, la sicurezza è un aspetto fondamentale. I lavoratori disporrebbero di corsi di formazione e specifiche procedure per operare lavorativamente (e anche a fini ricreativi) nel contesto geopolitico del Niger. In particolare, per escursioni nelle zone meno pericolose è necessario che il dipendente comunichi lo spostamento ad Acted con un preavviso di almeno 72 ore; in seguito Acted provvede a verificare il quadro di sicurezza tramite l’equipe locale e autorizza o meno l’escursione, con l’obbligo per il lavoratore di chiamare l’equipe al momento dell’arrivo e della ripartenza. Riguardo l’organizzazione dello spostamento, l’autista e la vettura utilizzati erano riconducibili ad Acted, che aveva tuttavia ritenuto opportuno, visto il basso livello di rischio dell’area, non affiancarvi una scorta armata. In tal senso vanno tenute presenti le difficoltà autorizzative nell’ottenere una scorta armata per l’ONG, a causa del principio di neutralità a cui fa riferimento; tuttavia, durante la conferenza stampa gli stessi portavoce di Acted hanno ammesso apertamente che sarebbe stata necessaria una scorta armata per l’escursione. Dopo i fatti di Kouré sono state introdotte nuove stringenti regole per tutti i lavoratori di Acted presenti in Niger, con divieto di uscire dal luogo adibito allo svolgimento delle proprie normali attività, le quali sono state del resto temporaneamente sospese.
- Importanza del ruolo delle ONG e scarsa tutela da parte della comunità internazionale.
I portavoce di Acted hanno ribadito l’importanza del ruolo delle ONG, a livello internazionale e nazionale, in quanto realtà presente in contesti di estrema povertà e, ciononostante, prive di sostegno da parte della comunità internazionale. Quest’ultima, infatti, da un lato richiede alle ONG di assumersi dei rischi per aiutare la popolazione e dall’altro non le tutela adeguatamente. Infine, i portavoce di Acted hanno dichiarato di aver inviato sul posto un gruppo di indagine per svolgere un approfondimento in loco e di aver presentato una serie di esposti nelle sedi opportune perché le famiglie delle vittime possano essere informate di tutta la verità sulla dinamica, le responsabilità ed eventuali mandanti dell’attacco.
3. L’attentato in Guatemala
Il 10 agosto 2020 il cooperante francese Benoit Pierre Amedee Maria è stato ucciso nei pressi di San Antonio Ilotenango (Quiché), nell’area nord-occidentale del Guatemala.Benoit si stava recando sul luogo di lavoro a bordo di un veicolo pick-up 4x4 non blindato quando è stato improvvisamente attaccato da uomini armati non identificati che hanno aperto il fuoco contro il veicolo in corsa per poi darsi alla fuga. Le prime notizie diffuse in merito all’attacco non escludevano la possibilità di una rapina degenerata in omicidio. Tuttavia, secondo la ricostruzione della dinamica da parte delle autorità, i fori di proiettile trovati nella parte posteriore del veicolo potrebbero implicare un attacco mirato, presumibilmente dovuto alle attività del cooperante in difesa dei territori indigeni. L’attivista, responsabile delle attività della ONG “Agronomes et Vétérinaires Sans Frontières (AVSF)” viveva nella località di Quetzaltenango dal 1999 e dal 2007 era impegnato in lavori agricoli di sostegno alle comunità indigene nella località di Chisec (Alta Verapaz). La AVSF è presente in venti Paesi in via di sviluppo e può contare su circa 300 cooperanti, i quali si occupano principalmente di progetti rurali a sostegno delle comunità locali. In Guatemala, la AVSF sostiene oltre 200 comunità q’eqchi’, ixil e k’iche’ nella riorganizzazione delle loro pratiche agricole ancestrali tra cui i mercati contadini settimanali, alcuni dei quali coordinati dallo stesso Benoit. Le dichiarazioni rilasciate in merito dal direttore generale della ONG, Frederic Apollin, fanno riferimento al Guatemala come un “territorio delicato” in cui non sussisterebbero particolari minacce relativamente alle attività delle associazioni come quella da lui diretta; insomma l’attivista francese si sarebbe semplicemente trovato “nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
4. Il dovere di protezione nella normativa francese
Purtroppo, le affermazioni di Acted e AVSF sono paradigmatiche di una “forma mentis” alquanto diffusa tra le ONG (anche in Italia) e tuttavia difficilmente riconducibile al dettato normativo applicabile in materia di sicurezza sul lavoro sotto differenti punti di vista. Difatti, la normativa giuslavoristica francese del “Code du travail” obbliga tutti i datori di lavoro a adottare le misure necessarie per garantire sicurezza e tutela della salute fisica e mentale dei propri dipendenti, incluse le attività di prevenzione dei rischi, la creazione di un’organizzazione di sicurezza dotata di mezzi appropriati e la predisposizione misure di informazione e formazione dei lavoratori. Il datore di lavoro francese deve inoltre garantire l’adeguatezza e proporzionalità delle misure adottate rispetto ai mutamenti delle circostanze in grado di influenzare il rischio inerente al contesto lavorativo in cui opera il personale. In particolare, ai sensi dell'articolo L. 4121-2 del Code du travail, il datore di lavoro deve valutare ed evitare i rischi (salvo quelli inevitabili) e pianificare le misure di prevenzione integrando le conoscenze tecniche, l'organizzazione, le condizioni di lavoro, le relazioni sociali e l'influenza dei fattori ambientali in un sistema prevenzionistico coerente. La giurisprudenza civile francese sancisce come l'obbligo di sicurezza del datore di lavoro rappresenti un’obbligazione di risultato derivante dal contratto di lavoro; da questa posizione legale di garanzia consegue che il datore di lavoro possa essere ritenuto responsabile di un infortunio occorso a un dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. La famosa sentenza “Karachi” della Corte di appello di Rennes analizza la vicenda dei dipendenti della società Technopro, vittime di un attacco terroristico mentre si recavano a lavoro a bordo di un autobus fornito da un soggetto terzo, cliente della Technopro, che quest’ultima aveva contrattualmente individuato come responsabile della sicurezza dei dipendenti della stessa Technopro. La sentenza Karachi è di particolare interesse poiché in essa i giudici francesi dimostrano di aver ben presenti i rischi, le minacce e le particolari esigenze conoscitive alla base di un’adeguata valutazione del rischio da parte del datore di lavoro; difatti la sentenza rappresenta una disamina di minacce di security sussistenti nel caso concreto e tutt’altro che imprevedibili e non conoscibili da parte del datore di lavoro, tenendo presenti gli obblighi (disattesi) discendenti a carico della figura datoriale, all’esito di una valutazione dei rischi puntuale e proporzionata alle problematiche del contesto geopolitico Pakistano. Per questi motivi i giudici di Rennes hanno condannato la Technopro sulla tesi secondo cui quest’ultima non poteva ignorare i rischi che i dipendenti avrebbero corso a causa delle minacce di attentato riscontrate nel 2002 a Karachi. Ne consegue che la Technopro avrebbe dovuto quantomeno monitorare che le misure di sicurezza implementate da parte del cliente terzo fosse rigorosamente applicate, se necessario rafforzate, in applicazione agli obblighi indelegabili discendenti dal dovere di protezione in capo al datore di lavoro. Inoltre, la Suprema Corte Francese ha da tempo chiarito come dalla violazione dell’obbligazione di sicurezza a carico del datore di lavoro possono discendere conseguenze penali quali un’imputazione per omicidio colposo per colpa grave, ai sensi dell'articolo L. 121-3 del codice penale francese, nel caso in cui il datore di lavoro non valuti i rischi e le opportune misure di prevenzione, secondo l’ordinaria diligenza, tenuto conto delle funzioni e dei poteri a sua disposizione.
4.1. Il dovere di protezione nella normativa italiana Analogamente a quanto previsto dalla normativa francese, gli articoli 32, 35 e 41 della Costituzione italiana prevedono che la sicurezza, libertà e dignità umana prevalgono sull’iniziativa economica privata. Si tratta di un principio dettagliato dall’articolo 2087 del codice civile, che impone all’imprenditore di adottare le misure “che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica” del lavoratore e dall'art. 28 del D.lgs. 81/2008 secondo cui il datore di lavoro, nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), deve considerare tutti i rischi "compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari". Tali adempimenti sono a carico del datore di lavoro, quest’ultimo inteso come il responsabile dell’organizzazione dell’attività dell’ente in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa, anche nei confronti dei volontari appartenenti a ONLUS o ad altri enti privi di scopo di lucro, come specificato dalla Commissione degli interpelli, secondo cui, qualora i volontari svolgano la loro “prestazione nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro, questi è tenuto a fornire al soggetto dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla sua attività. Egli è altresì tenuto a adottare le misure utili a eliminare o, ove ciò non sia possibile, a ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del soggetto e altre attività che si svolgano nell’ambito della medesima organizzazione”. In questo scenario, dal punto di vista penale, è configurabile a carico del datore di lavoro inadempiente un’imputazione per cooperazione colposa ai sensi del combinato disposto dall'art.40 c.p, secondo cui “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” e dall’art. 590 c.p. (lesioni personali colpose), come testimoniato, nel famoso “caso Bonatti” dalla condanna in sede penale delle figure apicali e della società stessa per il decesso di due dipendenti a seguito del rapimento ad opera di un gruppo terroristico. In ottica comparatistica, la normativa italiana e quella francese in tema di security convergono su un principio fondamentale: quanto maggiore sarà il rischio a cui esporre il personale tanto più penetrante e completo dovrà essere il livello di conoscenza del contesto locale e di protezione di cui avvalersi per tutelarlo, nell’ottica di una continua e pervicace riduzione ai minimi termini delle conseguenze negative del caso fortuito e della forza maggiore in ambito security. A tal proposito, tornando ai recenti fatti d’arme in Niger e Guatemala, le argomentazioni a difesa di entrambe le ONG coinvolte vertono su un tema fondamentale: l’evidente sussistenza di una causa di forza maggiore e l’assenza di rischi elevati che insistessero sulle aree coinvolte dagli eventi critici. Eppure, all’esito di un’analisi geopolitica professionale sul contesto di security nigerino e guatemalteco, probabilmente sarebbero emerse evidenze (di seguito meglio dettagliate ai paragrafi 5. e 6. del presente contributo) divergenti rispetto alle valutazioni ministeriali sulle aree di rischio e utilizzate dall’ONG a rischioso fondamento delle proprie attività di “security risk management” e delle conseguenti, inefficaci, misure organizzative intraprese. In effetti, il datore di lavoro che costruisca una politica di gestione del rischio di security sull’acritico affidamento alle informazioni ottenute perlopiù dal Ministero degli esteri, nella convinzione di demandare a quest’ultimo scelte e responsabilità di sua unica competenza, dovrebbe essere consapevole di realizzare il proprio presidio di security su fondamenta di argilla. A riprova di ciò, sono gli stessi ministeri e giudici a diffidare in tal senso il datore di lavoro, a cui è sempre affidata la decisione finale sull’adeguatezza nel merito delle misure di security intraprese.
5. Focus: breve analisi sul contesto di security di Kouré, Niger
Il Niger, e in particolare la regione di Tillabéri, ove è situata la riserva naturale di Kouré, presenta attualmente un quadro di sicurezza estremamente precario. Tra il 2018 e il 2019 nel paese si è assistito a un progressivo incremento della minaccia derivante dai gruppi terroristici affiliati ai principali network internazionali attivi nell’area saheliana. Infatti, il Niger si trova particolarmente esposto all’instabilità dei paesi vicini e alle infiltrazioni terroristiche su due diversi fronti: da ovest e da nord attacchi da parte di gruppi di terroristi infiltrati dal Mali e dal Burkina Faso; da est e sud aggressioni da parte di miliziani che si infiltrano dalla Nigeria (appartenenti principalmente a Boko Haram). A livello sistemico sussiste un concreto e persistente rischio che i diversi fronti jihadisti presenti nella zona del Lago Ciad e in tutto il Sahel possano organizzarsi e trovare un approdo sicuro proprio nell’area del Niger. Proprio nella zona occidentale al confine con il Mali (regioni di Tillabéri e Tahoua) sono presenti anche diverse formazioni affiliate allo Stato Islamico. Nel corso del 2019 la minaccia derivante dai gruppi IS è progressivamente aumentata, soprattutto in ragione di una maggiore attività nelle aree orientali del Burkina Faso e di una crescente mobilità dei gruppi che stanno progressivamente espandendo la propria base territoriale anche oltre i confini del Burkina Faso aumentando conseguentemente le incursioni effettuate in territorio nigerino. Se il trend in aumento degli attacchi in Niger si era già evidenziato nel corso del 2019, esso è apparso ulteriormente confermato anche nei primi 7 mesi del 2020. Tra gli attacchi armati rivendicati dal gruppo IS è degno di menzione ad esempio l’attentato del 9 gennaio 2020 nella località di Chinégodar (Tillabéri) nel corso del quale è stata attaccata una postazione dell’esercito nigerino provocando almeno 89 vittime, cifra che lo qualifica come l’attacco più grave registratosi nel paese finora. Proprio nelle aree di confine tra il Burkina Faso e il Niger, opera un gruppo affiliato a IS ma ancora poco conosciuto, Islamic State in the Greater Sahara (ISGS); in ragione della localizzazione geografica dell’attacco del 9 agosto 2020 a danno dei cooperanti di Acted è ipotizzabile che possa trattarsi di un’azione condotta proprio da miliziani appartenenti a ISGS. Inoltre, occorre precisare che sebbene gli attacchi terroristici in Niger continuino ad avere come principale target le forze militari nigerine, i gruppi terroristici attivi sul territorio nazionale dimostravano (anche prima dei fatti di Kouré) una sempre maggiore propensione a colpire direttamente i civili. Tale valutazione appare confermata dall’attacco armato avvenuto in data 1 febbraio 2020, in un hotel nella città di Ayorou, a seguito dell’irruzione di alcuni uomini armati non identificati che hanno aperto il fuoco contro i civili presenti in hotel, causando anche delle vittime. Il progressivo deterioramento della situazione a livello nazionale è stato anche evidenziato dalla decisione delle autorità governative di imporre lo stato di emergenza fin dalla fine del 2018 e di estenderlo progressivamente fino a ricomprendere, alla data dell’attacco che ha visto coinvolti i cooperanti francesi, diversi dipartimenti della regione di Tillabéri, in particolare quelli di Ouallam, Ayorou, Bankilaré, Abala, Banibangou, Say, Torodi, Tera, Tillaberi e Gotheye, oltre che l’intera regione di Diffa e due dipartimenti (Tassara e Tillia) di quella di Tahoua. Proprio in seguito all’attacco registratosi il 9 agosto le autorità nigerine hanno esteso lo stato di emergenza anche ai dipartimenti di Kollo (dove si colloca la riserva di Kouré) e a quello di Balleyéra, entrambi nella regione di Tillabéri. Sebbene proporzionalmente inferiore rispetto al resto del paese, anche nella stessa Niamey permane il rischio di attacchi asimmetrici di natura terroristica. In ragione della forte presenza di personale e basi militari nazionali e di un nutrito contingente di forze internazionali (Comando USA AFRICOM, missione francese Barkhane, missione multilaterale G5 Sahel, missione bilaterale italiana MISIN) la capitale Niamey presenta, infatti, un rischio proporzionalmente inferiore rispetto alla regione circostante (non si sono del resto registrate fino a questo momento azioni terroristiche di alto profilo nella capitale); tuttavia la valutazione del suo contesto di sicurezza non può non tenere conto delle dinamiche che interessano la circostante regione di Tillabéri, di cui la zona amministrativamente autonoma di Niamey costituisce geograficamente una enclave. La forte militarizzazione dell’area della capitale, costituisce indubbiamente un deterrente alle infiltrazioni di elementi jihadisti e alla possibilità di attacchi terroristici; d’altro canto, tuttavia, la stessa presenza di personale militare occidentale potrebbe portare a una crescente volontà dei gruppi terroristici di condurre attacchi di alto profilo. Ciò soprattutto in un contesto in cui il Sahel ha assunto, almeno dal 2019, una nuova centralità nella dinamiche legate ai principali network internazionali jihadisti. Ne consegue che la minaccia terroristica assume nel paese una caratterizzazione particolarmente estesa e generalizzata, tale da rendere sconsigliabili spostamenti soprattutto in aree in cui è assente/raro un controllo capillare del territorio da parte delle autorità di pubblica sicurezza ovvero è quantomeno opportuno uno spostamento con l’ausilio di una scorta armata.
6. Focus: breve analisi sul contesto di contesto di security per gli operatori umanitari in Guatemala
Il Guatemala non risulta estraneo ad eventi criminali analoghi a quello avvenuto al cooperante francese della AVSF. In un rapporto di luglio 2019, l’organizzazione statunitense Global Witness ha classificato il Guatemala al quinto posto su scala globale nell’elenco dei Paesi con il maggior numero di uccisioni di attivisti per la salvaguardia dell’ambiente e delle comunità indigene. Secondo lo stesso report, le uccisioni dei leader ambientali si sarebbero moltiplicate negli ultimi anni, passando dai 3 casi del 2017 ai 16 del 2018. Il Paese, fortemente caratterizzato dalla polarizzazione tra classi agiate urbane e contadini indigeni anche a seguito della guerra civile (1960-1996), presenta un quadro di sicurezza segnato da diverse criticità tra cui un elevato tasso criminale (circa 22 omicidi ogni 100.000 abitanti). In particolare, la regione di Quiché è caratterizzata da una forte ostilità delle comunità indigene nei confronti dei progetti infrastrutturali a forte impatto ambientale. Si segnala, a titolo esemplificativo, il conflitto tra la popolazione Ixil e la multinazionale italiana Enel Green Power a causa della costruzione dell’impianto idroelettrico di Palo Viejo, accusato di danneggiare territori considerati ancestrali dai popoli originari locali. Sebbene le azioni di sabotaggio nei confronti degli impianti abbiano registrato un netto calo rispetto al passato, risultano al contrario in aumento le intimidazioni da parte di gruppi criminali non meglio identificati nei confronti delle comunità indigene e degli attivisti che le supportano. Una ONG che operi da lungo tempo presso Chisec non può ignorare la sussistenza di una continua tensione tra i difensori dei popoli indigeni e i gruppi criminali, dediti allo sfruttamento illecito delle risorse locali, che potrebbero trascendere la mera intimidazione a vantaggio di aggressioni a danno di volontari manifestamente vulnerabili e scarsamente tutelati dall’autorità pubblica. Da una simile analisi del contesto locale emerge dunque l’evidente necessità, per il datore di lavoro di una ONG, di effettuare un corretto risk assessment non solo riferito all’area geografica di attività, quanto anche alla specifica esposizione al rischio dei propri lavoratori in virtù sia del ruolo ricoperto, sia più in generale dell’attività svolta. Sulla base di una simile valutazione, il datore di lavoro dovrebbe conseguentemente adottare le necessarie e più efficaci misure per tutelare il proprio personale.
7. Conclusioni
Risulta indiscutibile e incalcolabile l’apporto benefico fornito dalle organizzazioni di volontariato a vantaggio dei più deboli e indifesi e appare moralmente e giuridicamente fondata l’esigenza delle ONG di ottenere un riconoscimento, da parte della comunità internazionale, di prerogative e ruoli essenziali per poter operare in contesti a rischio con maggior sicurezza e in qualità di interlocutore qualificato.
Tuttavia, non si può ignorare come la posizione di garanzia datoriale imponga a qualsiasi ente privato, incluse ONG internazionali e perfino piccole associazioni di volontariato, di adempiere alle proprie obbligazioni di sicurezza nei confronti di lavoratori volontari e dipendenti esposti a rischi esogeni dal potenziale dinamico e inaspettato.
Come poc’anzi evidenziato il datore di lavoro (secondo la normativa francese, italiana e di numerosi altri Paesi) dovrebbe poter provare in giudizio, in ogni momento, di aver fatto ricorso a misure di mitigazione del rischio commisurate alle caratteristiche quali-quantitative della propria presenza aziendale all’estero.
Un’attenta analisi critica (autonoma dalle fonti ministeriali meno aggiornate) sul quadro di security di realtà locali complesse e ad alto rischio quali il Niger e il Guatemala, avrebbe potuto prevenire il verificarsi dell’evento e le possibili conseguenze legali e reputazionali connesse ad una rivedibile gestione delle attività di security risk management.
In particolare, l’episodio di Kouré rappresenta un monito su come, malgrado gli sforzi organizzativi (che Acted dichiara di aver profuso), investire in procedure di sicurezza e in attività formative perde nettamente di efficacia qualora la valutazione del rischio di security a monte sia approssimativa e riponga eccessivo affidamento sul valore di fonti estrapolate dai siti internet dei differenti Ministeri degli esteri, che rappresentano perlopiù una fonte di informazioni orientative per un viaggiatore, non di certo uno strumento ad efficacia scriminante per il datore di lavoro che mantiene la responsabilità finale di ogni propria scelta in relazione alle misure di sicurezza intraprese.
Sarebbe tuttavia semplicistico considerare tale monito come un semplice onere aggiuntivo per il datore di lavoro, al pari di un qualsiasi adempimento burocratico.
Investire in un’attività strutturata e coerente di risk analysis e business intelligence permette, infatti, da un lato di fare proprio lo spirito della normativa prevenzionistica, dall’altro rappresenta una notevole opportunità di miglioramento dei Processi interni dell’ente, che potrebbe disegnare e testare nuovi processi di security, semplificando e integrando quelli già in vigore.
Infine, si tenga presente che imprese e ONG che riescano a trasmettere la propria Vision in tema di sicurezza e affidabilità agli stakeholder (Istituzionali e non) coinvolti nelle proprie attività potranno beneficiare di un patrimonio reputazionale di serietà ed efficienza fondamentali per ottenere quella credibilità necessaria per definirsi “interlocutori privilegiati”, ispirando inoltre le proprie risorse interne sull’importanza della formazione e informazione in ambito prevenzionistico.