di Andrea Chittaro
di Andrea Chittaro
Sono passati esattamente 8 mesi da quel 21 febbraio 2020, comunemente individuato come il D Day della pandemia covid-19 in Italia. E se, in quei primi giorni, un certo grado di improvvisazione poteva anche considerarsi fisiologico, oggi la gestione di un evento di tale complessità dovrebbe aver maturato delle significative lesson learnt sul piano della scienza ma ancor più su quello della complessa macchina organizzativa.
Se nel superare un iniziale stallo su indicazioni procedurali, forniture di equipaggiamenti e presidi di sicurezza, tutto sommato l’italica capacità di improvvisare ed arrangiarsi è pure tornata utile oggi, a distanza di mesi, non appare più accettabile un certo pressapochismo che sembra emergere dalle quotidiane discussioni pubbliche sulle misure da adottare per far fronte alla recrudescenza del fenomeno pandemico che pure era stata prevista con ampio anticipo.
Ci sono aspetti, che più di altri, interrogano sulla reale capacità in capo alle strutture preposte di allestire un piano di indirizzo e di gestione per la seconda fase dell’emergenza che sia degno di tale nome.
Ed è pacifico ed allarmante che su certi temi possa prevalere ancora un approccio “ideologico” che trova il suo fondamento nella sola necessità di affermare posizioni ad usum delphini piuttosto che rispondere a logiche di pragmatismo e giudizio indipendente.
Ma è proprio sulle caratteristiche di indipendenza che dovrebbero connotare coloro a cui spettano l’onere e l’onore (e non viceversa) di guidare la risposta di un paese intero che è altrettanto lecito porsi dei quesiti.
In particolare, data per assodata l’impopolarità che deriva dall’assunzione di responsabilità gravi e di così alto impatto sulla vita dei cittadini, è verosimile che il politico, cui la ricerca di consenso è parte del DNA, funzionari pubblici e manager di grandi e, talvolta, smodate ambizioni o scienziati dall’ego debordante, siano le figure a cui fare riferimento? Quei soggetti in possesso della necessaria neutralità e quella condizione di “serenità” circa il loro futuro prossimo che gli eviti di agire su spinte centripete verso obiettivi paralleli e, talvolta, confliggenti?
Intendiamoci, ora come allora nessuno può intestarsi le insegne di salvatore della patria o di risolutore finale. Tali e tante sono le variabili da affrontare che il rischio di errore rimane altissimo. E il Governo, in questo senso, ha un compito arduo e per nulla invidiabile.
E, invero, non è nemmeno necessaria la corsa spasmodica ad individuare responsabilità o addossare colpe a chicchessia. Nei primi tempi, proprio questa assenza di “caccia alle streghe” e dissolvenza burocratica aveva aiutato non poco la “navigazione a vista” che ha contraddistinto la fase iniziale dell’emergenza.
Eppure, non dovrebbe essere così ardito ragionare su evidenze che, oltre al conforto dei numeri, potrebbero agilmente essere accettate in base al buon senso ed una minima capacità di guardare oltre il recinto delle proprie convinzioni.
Sono più che comprensibili le ragioni di coloro che vorrebbero una scuola aperta a tutti i costi. Sono istanze sacrosante la cui fondatezza non sfugge ai più. Ma è altrettanto vero che recenti studi, tra cui uno dell’Università di Edimburgo, evidenziano come la Scuola sia al secondo posto tra i luoghi di diffusione del virus, appena dietro agli happening da movida. Troppi fattori concomitanti rendono vani i protocolli assunti all’interno delle classi, in primis il sistema dei trasporti.
E allora la soluzione è la chiusura tout court? No. Probabilmente sarebbe bastato investire energie (e denaro) negli strumenti che avrebbero consentito, alla bisogna, di operare in modalità “smartstudying” allorquando le condizioni di gravità della situazione lo avessero imposto. Un massiccio piano di sostegno all’acquisto di dotazioni informatiche e connessione per istituti scolastici e famiglie avrebbe avuto ben altro effetto nella predisposizione di un piano emergenziale per assicurare il sacrosanto diritto allo studio dei nostri ragazzi. Chiusure ragionate e momentanee che avrebbero si impattato quanto alla socialità dei ragazzi ma, di converso, assicurato una miglior tutela della salute loro, degli operatori scolastici e delle famiglie stesse.
Se oggi assistiamo al riempimento delle terapie intensive e dei posti letto negli ospedali torna alla mente il j’accuse spinto fino al dileggio di Guido Bertolaso, medico e manager che ai tempi il mondo prendeva ad esempio come eccellenza italiana nella gestione delle situazioni di crisi, per il progetto dell'ospedale all'interno della Fiera di Milano. Ora quella struttura sta, per fortuna, tornando utile. Anche qui una programmazione più accorta avrebbe consentito di organizzare per tempo luoghi di ricovero per i malati che, per seguire l’idea del Prof. Giorgio Palù, spesso sono parte di una popolazione anziana, indigente, fragile che vede negli ospedali un luogo di rifugio dalla propria condizione di debolezza contribuendo al progressivo collasso del sistema.
Sempre Palù ci ha spiegato, con una nitidezza inarrivabile, che molti dei veri o presunti esperti che oggi presidiano militarmente il video, renderebbero miglior servizio a riappropriarsi del loro ruolo professionale. La comunicazione in caso di crisi è un asset fondamentale e non può ridursi ad una disputa permanente tra negazionisti e cultori del rischio zero. Sono entrambe posizioni profondamente sbagliate e dannose perché alimentano nella popolazione disagio e smarrimento piuttosto che stimolarne il senso di disciplina e la disponibilità ad un “patto di cooperazione” con le istituzioni. Negli Stati Uniti tra gli studiosi parla solo Antony Fauci, in Italia parlano tutti.
Se c’era, però, un ambito da cui trarre qualche significativo esempio di buon governo della crisi questo era e, probabilmente, rimane il mondo aziendale. Oggi il luogo più sicuro, paradossalmente, è proprio il posto di lavoro. E non solo in virtù di protocolli di sicurezza e adozione di contromisure tecnologiche di un certo peso ma, piuttosto, per la naturale capacità di chi ha gestito comitati di crisi e task force integrate, di trovare la giusta misura tra il primario dovere di protezione della salute delle persone e la necessità di continuare a svolgere, seppure con tutte le cautele e le precauzioni del caso, le attività produttive
Figure sovente prive di quella “visibilità” cui si faceva riferimento prima ma proprio per questo capaci di governare i propri settori senza arrecare pregiudizio alla dignità di principi e diritti che non sono e non possono essere confliggenti.
Ed ecco che il tema dell’indipendenza e della neutralità torna a farsi prepotentemente largo perché non estraneo ai risultati che, in certuni ambiti, sono stati raggiunti sul piano organizzativo e della prevenzione.
Oggi il tentativo di gestire senza ulteriori shock per il contesto sociale una situazione che è sotto gli occhi di tutti, passa attraverso il corretto bilanciamento delle esigenze ed è intimamente legato alla capacità di sostegno di quei settori produttivi o cittadini ai quali sarà ancora chiesto un sacrificio diretto.
Rimettendo al centro la capacità di agire e di decidere di coloro che lo fanno per mestiere e senza aspettative di gloria.
Quelle persone che, parafrasando Coelho, possiedono l’eroismo della normalità affrontandone le conseguenze.
Andrea Chittaro
Senior Vice President Global Security & Cyber Defence Department presso Snam
Chairman of the Board presso AIPSA